19 marzo 2006

Stream e buoi dei paesi tuoi

Chi ascolta una stazione lontana può essere equiparato a un pirata informatico? La notizia circolata oggi in diverse mailing list potrebbe anche essere uno scherzo, visto che la normativa di cui parla entra in vigore il... 1 di aprile. Ma a giudicare dalle fonti dovrebbe essere verissima. Nel Regno Unito era in scadenza il contratto tra editori radiofonici inglesi e Phonographic Performance Limited, l'organizzazione dei discografici che raccoglie e ridistribuisce le royalties relative alle esecuzioni musicali pubbliche e radiotelevisive, rilasciando ai broadcaster una licenza che li autorizza (a pagamento, si intende) a trasmettere brani protetti da diritti d'autore. Il contratto è appena stato rinnovato e andrà appunto in vigore a partire dal mese prossimo. Sulla base della nuova licenza, la PPL ha fatto sapere agli editori di essere nella posizione di poter garantire i diritti di trasmissione degli stream Internet dei loro programmi. Ma solo se gli ascoltatori di questi stream si trovano dentro al Regno Unito! Per non violare le normative sul copyright, insomma, un broadcaster inglese dovrebbe assicurarsi una licenza per ciascuna delle organizzazioni che detengono i diritti musicali in tutte le nazioni in cui possono essere ricevuti gli stream. Cioè ovunque.
Tecnicamente la cosa è complessa, ma si può fare. Basta bloccare le porte dei server che diffondono gli streaming a tutti gli indirizzi IP che non facciano parte dei blocchi assegnati ad access provider inglesi. Ma quanti sceglieranno piuttosto di spegnere gli streaming e buona notte? Tempo fa, una decisione analoga, legata ai bacini pubblicitari, spinse molte emittenti americane a staccare la spina dei loro canali audio telematici, che sono comunque interessanti, anche per i radioascoltatori. Teoricamente, scrive la newsletter specializzata Radio and Internet Newsletter (RAIN), la prima a dare la notizia, i broadcaster potrebbero rivolgersi a società come la International Federation of the Phonographic Industry, organismo internazionale che rappresenta, per un certo numero di nazioni, le organizzazioni detentrici delle royalties (le varie SIAE, tanto per intendersi), ma il calcolo delle somme dovute sarebbe estremamente complicato. RAIN osserva che gli editori radiotelevisivi del Regno Unito devono versare in royalties circa il 10% dei loro introiti, il doppio di quanto pagano le emittenti americane. Per accordi particolari la BBC dovrebbe essere esclusa da questo divieto. Le licenze rinnovate sono quelle tra PPL e CRCA, l'associazione dei broadcaster privati.
La posizione dei discografici è chiara: bisogna tutelare a ogni costo un diritto che uno streaming digitale mette in oggettivo pericolo (solo un pazzo registrerebbe da uno stream digitale, ma facciamo finta che il rischio ci sia). Ma da sempre le radio britanniche possono essere ascoltate fuori dai confini nazionali. E' normale che sia così e vale anche per tutte le radio delle altre nazioni. Le zone di confine, in Europa, sono tradizionalmente molto popolose. Uno svizzero di Basilea, per esempio, può tranquillamente registrare la musica di stazioni FM francesi e tedesche. Se il principio territoriale dovesse valere così strettamente, ci sarebbero migliaia di potenziali pirati, no? Siamo all'ennesima guerra di posizione combattuta contro tecnologie che all'improvviso cambiano radicalmente le vecchie prospettive. Di solito, le tecnologie hanno la meglio (che tradotto in linguaggio corrente significa che qualcuno escogita un nuovo modo di farci pagare le cose). Ma quanta fatica.


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