22 settembre 2006

Dai satelliti, nuove teorie sull'aurora boreale

Anche per un sine doctrina e uno scienziato mancato come me uno degli aspetti più affascinanti della passione dell'ascolto di segnali radio distanti e la natura così sperimentale (in senso scientifico, prove, verifiche, pubblicazione dei risultati, ripetibilità) di una attività sempre intrecciata con diverse discipline. E il bello è che si può ascoltare anche senza accumulare nozioni in campo elettronico, elettromagnetico, geomagnetico, astrofisico: se certe cose le sai e le capisci anche, meglio per te; altrimenti ti diverti lo stesso.
In questo senso lo studio della propagazione dei segnali attraverso la ionosfera e le interazioni di quest'ultima con la complicata fisica del sole è una inesauribile sorgente di nuove scoperte e letture, considerando anche che dell'argomento si deve tuttora scoprire tantissimo. Prendete per esempio un fenomeno anche spettacolare come le aurore boreali. Ho avuto la fortuna di vederne una sola nella vita, in Finlandia, purtroppo breve e neanche troppo intensa. Come descriverla? Immaginate di alzare lo sguardo verso il cielo di notte e di vedere un diffuso bagliore verdastro, una sorta di velo trasparente e fosforescente che qualcuno sta cercando di avvolgere intorno all'orizzonte (in Alaska c'è una webcam che produce immagini in tempo reale). L'aurora boreale, che sotto certe latitudini è rarissimo vedere ma che sono all'ordine del giorno nei pressi del circolo polare e oltre, è un sintomo dell'interazione tra diverse forze esterne, le particelle della ionosfera e il campo magnetico terrestre. Per quanto suggestivo possa essere, è un sintomo negativo per noi DXer perché equivale a dire che i segnali radio vengono assorbiti nei loro percorsi più settentrionali e che non ci sarà verso di ascoltare stazioni, soprattutto alle frequenze più basse, nelle onde medie, e soprattutto dal Nord America.
Tecnicamente l'aurora viene prodotta da elettroni energetici che, come dei surfisti, si avvitano velocissimi lungo le linee del campo magnetico terrestre che convergono verso i poli, come l'avvolgimeno intorno a un toroide. Quando collidono con gli atomi della ionosfera, gli elettroni fanno letteralmente scintille e decadono nei fotoni delle aurore boreali. Ma da dove vengono questi elettroni? Dalla magnetotail, il lungo strascico di linee di campo magnetico della magnetosfera prodotto dal forte vento solare. Un bellissimo articolo pubblicato sul sito dell'Esa racconta con dovizia di fotografie, grafici e riferimenti, di come basandosi sui dati raccolti dalla missione satellitare Cluster, alcuni scienziati cinesi hanno sfatato alcune recenti teorie sui meccanismi che porterebbero gli elettroni ad accelerare in questo modo, riconducendo questo vorticoso movimento a un fenomeno chiamato bursty bulk flow (BBF). Che si riscontra a sua volta all'interno del plasma sheet, la regione centrale, densa e turbolenta della magnetotail. A che serve capire tutti questi meccanismi, vi chiederete voi, soprattutto per chi ascolta la radio solo per hobby? Beh, rientra tutto in un discorso di tecniche predittive che sulla base dei dati geofisici e solari raccolti da più fonti potrebbe un giorno consentire di anticipare l'andamento delle nostre sessioni DX.
In ogni caso, è una lettura interessante, alla quale si aggiunge un altro studio anticipato l'altro giorno dalla NASA e basato sulle osservazioni che Voyager 1, la sonda lanciata nel 1977, continua a inviare a terra. Le recenti osservazioni si riferiscono a una regione diametralmente opposta al plasmasheet, cioè a quello che succede nella heliosheath, la regione prossima al confine della bolla in cui il vento solare avvolge il sistema planetario, là dove i bordi della bolla (l'eliopausa) finiscono per diluirsi nello spazio profondo (l'articolo della NASA fa il paragone con la sottile ciambella d'acqua che si produce sul piano del lavabo quando apriamo il rubinetto). Qui la propagazione non c'entra ma parliamo di cose comunque vitali. L'heliosheath è un anello più denso dell'eliopausa e serve a proteggere l'intero sistema solare da radiazioni dannose come i raggi cosmici. Voyager 1 avrebbe scoperto che dentro all'heliosheath si producono temporanei "vuoti di campo magnetico" che interagiscono con i raggi cosmici e viene anche generata una forma di radiazione cosmica "interna" a energia più bassa. Con le osservazioni gli scienziati confidano di riuscire a modellare meglio questa regione lontanissima (15 miliardi di kilometri) da noi ma così fondamentale.

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