28 febbraio 2007

Radio libere, roba da museo?


Grande apertura sulle pagine milanesi del Corriere di lunedì sull'inaugurazione della mostra sui 30 anni della radiofonia privata, prevista per oggi giovedì primo marzo al Museo della scienza e della tecnica di via San Vittore, a Milano. Dell'esposizione di Minerva Eventi abbiamo già parlato perché si tratta di una mostra itinerante, che ha già toccato diverse città. La tappa milanese è molto attesa perché con l'occasione il Museo della Scienza, una istituzione molto amata e molto ben gestita, aprirà - il 20 marzo - una sezione dedicata all'evoluzione della tecnologia radiofonica. Dove immagino verranno illustrate anche le nuove tendenze della radio digitale.
A corredo del pezzo due interviste a Eugenio Finardi (quello di se una radio è libera, ma libera veramente) e Gianni Riso, deejay oggi 55enne. Finardi lamenta l'eccessivo appiattimento delle radio commerciali di oggi, ammanettate a sterli playlist volute dalle case discografiche, e auspica la creazione di una Radio Popolare 2 tutta dedicata alla musica. Stavo leggendo queste osservazioni mentre ero in volo verso Londra. E come sempre quando sono in volo ho violato una dozzina di regolamenti di sicurezza per ascoltare l'FM. Ogni volta rimango stupito delle grandi differenze rispetto allo spettro radio in Italia. Spariscono di colpo le cinquanta-cento emittenti virtualmente impossibili da distinguere l'una dall'altra. La banda FM si dirada e subito spicca la presenza di tanta musica classica, di tanti programmi culturali, tantissima informazione locale. Si scopre che le emittenti pubbliche in Germania, Francia e soprattutto UK hanno quattro, cinque e più canali nazionali e una quantità di notiziari regionali. Non stiamo parlando di nazioni del terzo mondo, ma del primissimo. Nazioni che acquistano più giornali (magari popolari), che comprano molto nelle grandi catene di supermercati (le quali, infatti, fanno un sacco di pubblicità), che vantano mercati pubblicitari più evoluti e ricchi, meno sbilanciati a favore di una televisione oltretutto controllata da pochissimi editori impegnati a drenare un badalucco di risorse senza che nessuno osi dire bah (come si potrebbe dire bah ai capi dell'opposizione parlamentare, del resto?). Si capiscono molte cose ascoltando la radio locale, specchio fedele di pregi e difetti della società che la produce, nemica dell'omologazione televisiva che spalma gli stessi programmi ovunque, come una scadente margarina. Quante occasioni perdute con la rivoluzione radiofonica di trent'anni fa. E che odio la restaurazione che segue certi stravolgimenti.

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