21 aprile 2011

Dividendo digitale in banda UHF, il caso nel Regno Unito


Mentre in Italia la questione del "tesoretto" delle frequenze UHF lasciate libere dal passaggio alla televisione digitale terrestre ha già scatenato un autentico psicodramma tra gli operatori telefonici che pretendono frequenze possibilmente gratis, i broadcastar duopolistici che sminuiscono l'importanza dei futuri servizi a larga banda mobili (chissenefrega di "falsi problemi" come il digital divide, perdinci! Come facciamo a trasmettere le nostre telepromozioni e le partite della nostra squadra in paytv?) e gli editori televisivi locali che rischiano solo di fare la fine dei capponi di Renzo.
In questi giorni mi sono arrivati un paio di documenti dell'Authority britannica, l'OFCOM, che mi piace sempre citare come esempio quando si tratta di politiche di gestione dello spettro delle radiofrequenze. Suggerirei agli amici di Agcom di andare a scaricarsi due documenti:

La pubblica consultazione avviata il 22 marzo sul futuro dei 250 MHz (!) da assegnare nelle due bande degli 800 e 2,6 GHz prevede la pubblicazione di una serie di documenti cui si aggiunge il "modello tecnico" costruito dall'OFCOM per simulare l'ipotetico rendimento di una rete LTE, pubblicato oggi. Suggerisco inoltre di scaricare anche il documento "Low-power shared access to spectrum for mobile broadband" un report di quasi 200 pagine preparato da Real Wireless.
«At this stage we are not seeking to reach a view on how the UHF spectrum should be allocated in future. Instead, we want to invite comments from stakeholders on the factors that will have a bearing on how the future use of UHF spectrum will further the interests of citizens and
consumers and what if any issues arise from this perspective,» scrive l'OFCOM. «Any decisions on any future adjustments to the allocation of the UHF spectrum would necessarily need to be taken nearer to the time when they could be implemented given the inherent uncertainty on a number of key factors such as how the market will develop or the result of international harmonisation decisions.»
E ancora: «The award of this spectrum is vital to the UK's economic and social growth. It will enable mobile operators to meet the significant growth in demand for mobile data. This is being fuelled by growth in the take up of smart phones and tablets, offering services such as video streaming, social networking and mobile gaming, as well as applications such as messaging and email. Access to this spectrum is expected to be vital to the future commercial success of existing and prospective new entrant mobile network operators.
The proposals set out in this consultation are likely to shape the future competitiveness of the mobile sector for at least the next decade. We set out in this consultation document our assessment of the impact of the distribution of spectrum on future competition in mobile markets, and our proposals for the rules that should apply, in the auction and more generally, to promote competition.»
Per riassumere: la disponibilità delle nuove frequenze da assegnare a servizi dati mobili a larga banda da parte di operatori nuovi o consolidati che siano è "vitale per la crescita economica e sociale del Regno Unito". Vista l'importanza della posta in gioco, OFCOM invita tutti gli stakeholders, le parti interessate, a sottoporre le loro osservazioni sui "fattori che andranno a impattare su come i futuri impieghi dello spettro UHF promuoverà l'interesse di cittadini e consumatori."
Come sempre mi sembra di essere capitato non sul sito di OFCOM bensì direttamente sul pianeta marte. Al posto di un regolatore, un organo di garanzia, che coordina la discussione cercando di fare chiarezza molto *prima* che il governo decida di mettere all'asta determinate frequenze (e quali), qui in Italia abbiamo il solito pollaio. Ieri per esempio il broadcaster filo- o protogovernativo Mediaset ha diffuso una pacata nota per lamentare come «nel mondo di Internet ''regna la totale assenza di regole e di controlli'' mentre nel mercato televisivo ''vi e' una pesante ingerenza degli organi di regolamentazione.''». Povero nano. A parlare - evidentemente ignorando il recepimento delle normative europee sui new media da parte di un ministro che più amico del giaguaro di così non si potrebbe - è, lo avete indovinato, il presidente di Mediaset, un giovane molto dinamico e aperto alla crescita sociale e culturale degli italiani chiamato Fedele Conalonieri. In questo presunto Far West in cui la televisione commerciale italiana è costretta come in un ghetto, privata dei mezzi più elementari e di ogni spazio di crescita commerciale, «ci va di mezzo tutto ciò che è creazione intellettuale, contenuto originale, copyright.» Creazione intellettuale? Forse si riferisce al Grande Fratello. Contenuto originale? Forse intende il mercato delle vacche dei famigerati "format televisivi", tutti uguali, tutti melensi o nevrotizzanti.
Lassù sul pianeta marte, oltre la siderale distanza della Manica, al posto dei diktat incrociati, delle minacce al testosterone, degli eterni "lei non sa chi sono io" ricorrenti in una economia che capisce solo le peggiori forme di protezionismo di puro stampo dirigista sovietico, si studiano le diverse alternative, si discute, si decide tutti insieme. Da quando è iniziato il percorso che sta portando tutta Europa alla tv digitale, i marziani della perfida Albione conoscono per esempio quale sarà il futuro aspetto della loro banda UHF. Questo:


I marziani cercano di conseguenza di fare posto per tutti, negli inevitabili limiti fissati da una risorsa flessibile purtroppo non è elastica. Qui marte, a voi Agcom?

3 commenti:

marco barsotti ha detto...

Ciao

Molto intressante,grazie delle segnalazioni

Anonimo ha detto...

Mentre in UK si occupano di UHF hai notato che in Italia stanno spazzando via il DAB dal VHF?
Con il D.L. 34/2001 articolo 4, non hanno più spazio e mettono le TV locali da 174 a 230 MHz!

Andrea Lawendel ha detto...

Il decreto è naturalmente il 34 del 2011, non 2001 (il refuso è degli amici di Newsline). Il testo

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00529579.pdf

si riferisce alla possibilità di riassegnare frequenze negli spazi della banda III/VHF agli editori "radiotelevisivi" in graduatoria che siano rimasti privi di frequenze altrove. Io non contesto il fatto che l'Italia si sia in qualche modo adeguata a normative che sono anche europee. A fare specie è il solito stile dei decreti "omnibus", che certo non fanno il gioco della semplificazione e di una generale mancanza di trasparenza procedurale che oltretutto non favorisce l'approccio consultivo e partecipativo che dovrebbe essere tutelato da Agcom. Ripeto per l'ennesima volta che non sono un giurista, ma noi stiamo scontando ancora adesso il peccato originale di una legge, la Mammì, che ha fotografato e trasformato in norma non più aggirabile la totale anarchia che aveva caratterizzato una ventina d'anni di corsa degli imprenditori radiotelevisivi locali e di violento consolidamento (altrettanto anarchico, e mi spiace utilizzare questo termine quando si dovrebbe parlare semplicemente di illegalità) che ha portato alla costituzione di un duopolio circondato da una miriade di emittenti locali prive o quasi di qualsivoglia peso politico. Non è colpa del Ministero o di Agcom, intendiamoci, ma è chiaro che la situazione attuale non fa altro che sancire quello che si sapeva da anni: all'epoca della Mammì non c'era altra soluzione che azzerare tutto, mettersi intorno a un tavolo e riassegnare pazientemente le frequenze sulla base di una accurata analisi e una altrettanto severa pianificazione. In quella sede avremmo anche dovuto indennizzare e incentivare gli editori rimasti inevitabilmente fuori. Lo spettro è una risorsa limitata e in Italia, praticamente unico caso al mondo, per i vent'anni che hanno precedeuto la Mammì abbiamo fatto tutti finta di ignorare questo elementare principio. E adesso ci ritroviamo con una dicotomia tra due editori di serie AAA+ qualcuno di serie B e una miriade di serie Z. In più, uno dei due editori di serie AAA+ è anche titolare del potere di governo.
Diciamo però la verità, sul destino probabilmente infausto del DAB in Italia pesa molto di più la triste vicenda della possibile cessione della proprietà infrastrutturale della RAI, oggi gestita da RaiWay. Oggi questa proprietà rientra in quella rischiosa categoria dei "gioielli di famiglia" che nelle nazioni in crisi come la nostra (oltretutto privi di reale volontà di pianificare una exit strategy degna di tale nome) inducono a fare cassa chiudendo gli occhi su ogni possibile prospettiva futura. Vista la sua centralità nell'ambito di una cooperazione pubblica-privata in cui la RAI è chiaramente il soggetto principale, nel momento in cui RaiWay non dovesse più controllare la, la progettazione, la manutenzione e l'evoluzione dell'infrastruttura trasmissiva, la prima vittima sarà il piano di sviluppo di una rete DAB oggi quanto mai carente. Mi spiace dover continuamente assumere il ruolo del profeta di sventura, ma con le prossime elezioni ammnistrative siamo ufficialmente entrati in una campagna elettorale che durerà due anni e in cui il berlusconismo - non inteso come futuro politico di Berlusconi, che ha davanti unicamente una lunga e serena vecchiaia, ma come sopravvivenza di un'intera generazione di mediocri complici del regime - giocherà tutte le sue carte: frantumazione anche costituzionale del potere indipendente della magistratura e definitiva, granitica assunzione del principio, anch'esso neocostituzionale, che l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro di Mediaset. Tutto il resto non conta assolutamente nulla e in un tale contesto la radio digitale è e sarà sempre l'ultima delle nostre preoccupazioni.